Bar Silvio
di Massimo Gramellini
Davanti all’immondizia che sta venendo a galla, persino il tifoso più becero invoca riscritture di regole e rifondazioni. Silvio Berlusconi no. Interpellato a San Siro sulla crisi del calcio, ha colto l’occasione per un ampio giro d'orizzonte intorno al proprio ombelico e invece della riforma del sistema si è preoccupato soltanto di reclamare per il suo Milan i due scudetti che verranno presumibilmente tolti alla Juve.
All'inizio ho creduto si trattasse di una battuta di Gene Gnocchi. Perché in questo frangente nemmeno un politico con il senso dello Stato di Vanna Marchi riuscirebbe a pensare prima ai suoi comodi che all’intera nazione calcistica in subbuglio. Berlusconi ha compiuto l'impresa. La sua concezione privatistica della politica si è associata alla sua visione autoassolutoria dell'esistenza, partorendo un piccolo capolavoro d'opportunismo. Anche a voler sorvolare sulla presenza nelle intercettazioni di un dirigente del Milan, e sull’inedito entusiasmo del Principe dei Perseguitati per l'operato della magistratura («Aspettare le sentenze? Ma più chiaro di così!», ha dichiarato il noto garantista), rimane il fatto che se c’è una persona in Italia che dovrebbe chiedere scusa per la deriva del calcio, questa è proprio lui. Chi ha gonfiato per primo la rana del pallone con il mostruoso e chiacchieratissimo ingaggio di Lentini, meritandosi dall’Avvocato la fama ironica di «grande calmieratore del mercato»? Chi ha scaricato sistematicamente sui bilanci Fininvest i debiti dei rossoneri, squilibrando i rapporti di forza fra i pochi club ricchi e tutti gli altri? Chi ha creato e avallato il duopolio Milan-Juventus che per vent'anni si è spartito gli scudetti e i denari delle televisioni?
Berlusconi è un maestro nel travestirsi da vittima. Ma stavolta abbia almeno la decenza di farlo in silenzio. Prenda esempio da un fascista galantuomo come il bolognese Leandro Arpinati, che quando nel 1927 fu tolta la vittoria al Torino per un episodio di corruzione che a confronto con l'oggi, e col Moggi, mette quasi tenerezza, si oppose per ragioni di stile a che lo scudetto venisse assegnato al suo Bologna, secondo in classifica. Quell’anno il titolo non andò a nessuno. Un politico liberale dovrebbe augurarsi che succeda lo stesso anche stavolta. Un liberale. Non un populista da bar sport.
La Stampa, altro giornale comunista...
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